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01/06/2019 | INNOVAZIONE, PEOPLE

PAOLA ANTONELLI: SI PUO' AGGIUSTARE LA NATURA?

Di: Gisella Borioli

È la più famosa, stimata e ricercata. È la curatrice del Dipartimento Architettura e Design MoMa di New York, dove è approdata giovanissima rispondendo a una inserzione sul giornale, ma anche della mostra Broken Nature alla Triennale di Milano che mette il dito nella piaga del disastro ambientale. Gisella Borioli l’ha incontrata in occasione del Lexus International Design Award. 

La tua storia professionale è emblematica, soprattutto rispetto all’Italia. L’America è sempre l’America? 
Direi invece che New York è sempre New York. ll MoMa è stato un punto di partenza eccezionale. Se fai qualcosa al MoMa lo vedono tutti. Ci sono tanti curatori eccezionali al mondo che non hanno la visibilità e le possibilità che ho io. Ma le cose stanno cambiando. Ci sono tante Biennali, Triennali, Design Week che stanno prendendo piede, a Indiana, Istanbul, Pechino per esempio. I curatori cercano il nuovo. Niente di meglio che avere la possibilità di scoprire altre città....

L'intervista a Paola Antonelli.


È la più famosa, stimata e ricercata. È la curatrice del Dipartimento Architettura e Design MoMa di New York, dove è approdata giovanissima rispondendo a una inserzione sul giornale, ma anche della mostra Broken Nature alla Triennale di Milano che mette il dito nella piaga del disastro ambientale. Gisella Borioli l’ha incontrata in occasione del Lexus International Design Award. 

La tua storia professionale è emblematica, soprattutto rispetto all’Italia. L’America è sempre l’America? 
Direi invece che New York è sempre New York. ll MoMa è stato un punto di partenza eccezionale. Se fai qualcosa al MoMa lo vedono tutti. Ci sono tanti curatori eccezionali al mondo che non hanno la visibilità e le possibilità che ho io. Ma le cose stanno cambiando. Ci sono tante Biennali, Triennali, Design Week che stanno prendendo piede, a Indiana, Istanbul, Pechino per esempio. I curatori cercano il nuovo. Niente di meglio che avere la possibilità di scoprire altre città. 

La tua visione del design è trasversale e le tue mostre spesso parlano di grandi problemi etici e ambientali. Ma il design può ridisegnare il mondo? 
Niente e nessuno può farlo. È necessaria una collaborazione generale. I designer devono cambiare i politici, i politici devono cambiare la legislazione, poi devono imporre un nuovo modo di agire alle industrie. È un sistema complesso. Dico sempre che i designer sono l’enzima dell’innovazione perché sono quelli che rendono le scoperte tecnologiche e scientifiche oggetti che la gente usa. Poi tutto ha un retroscena finanziario, i designer possono fare tantissimo, aiutare le persone o proteggerle, però da soli no. Se i designer non sanno un po’ di politica, un po’ di antropologia, un po’ di scienza restano relegati nel ruolo di decoratori. L’estetica è importantissima, è un fattore di comunicazione verso altri esseri umani ma non può essere fine a se stessa.

Sono uscita sconvolta dalla tua mostra Broken Nature alla Triennale. La natura si è rotta e sembra impossibile ripararla. E ora?
È proprio quello che volevo. Spero che le persone che escono dalla mostra abbiamo la tua stessa reazione. Il gruppo curatoriale che ha lavorato con me è stato eccezionale. La mostra è modulata in modo da avviare una comprensione dei problemi in cui ci troviamo a lungo termine, ma era molto importante confrontarsi anche con i problemi di tutti i giorni, dal test per la gravidanza biodegradabile al modo per trasportare l’acqua in Africa. Vorrei che la gente lasciasse la mostra con l’idea di quello che si può fare a casa. 

Che cosa è oggi il design? Progettazione, industria, scienza, tecnologia, ingegneria, filosofia, storia, futuro, estetica sono tutte componenti del design attuale. Con questo concept così complesso, come lo si rappresenta? 
È difficile abbracciare la complessità, quasi nessuno ci riesce nella sua totalità. La si può affrontare a pezzi o cercare di capirla in toto, e in questo i computer ci aiutano moltissimo. Non dobbiamo avere paura di uno scenario tipo fantascienza. Computer e intelligenza artificiale sono gli strumenti che abbiamo per capire la complessità. Il sistema capitalistico è molto complesso. È difficile capire il profitto per il profitto, come si possa accumulare ricchezza senza che il resto del mondo vada meglio. Vedo studenti che hanno idee molto chiare, sono una speranza. 

Quanto importante è la mise en scène di una mostra? Cosa deve trasmettere, soprattutto?
È importantissima. Si possono avere le idee migliori ma non serve se non si sa comunicare. È importantissima anche perché aiuta la comprensione, accentua le emozioni, accumula storia e memoria. Non c’è contrapposizione tra etica ed estetica ma è importante che si parta con un obiettivo preciso etico e che l’estetica venga motivata e trascinata da questo obiettivo. 

La smaterializzazione è uno dei modi della rappresentazione del design con video, realtà aumentate e virtuali in molti modi, e altro che forse ancora non possiamo immaginare. È questo il futuro della sua mise-en-scène?
Non necessariamente. C’è sempre molto spazio per le espressioni più reali, tangibili. Se si guardano i risultati del Lexus Design Award, in cui facevo parte della giuria, c’è stata molta ricerca e rappresentazione “materiale”. Per dare il mio voto ho cercato una sintesi di molte cose, tra scienza e forma, e di trovare oggetti del presente che attingono dal passato, che uniscono alta tecnologia e artigianato, come il reggiseno per le donne operate al seno. 

A Milano coesistono due modi di rappresentare il design e la produzione e la cultura del design. Il Salone, con le sue grandi offerte di nuovi prodotti riservato ai professional a pagamento, e il Fuorisalone, con le sue installazioni spettacolari, i momenti culturali, gratuito e aperto a tutti. Cosa pensi di questo “sistema”? 
Penso che non ci sia ancora abbastanza sperimentazione e che ci sia ancora troppa preponderanza del mobile. La nostra industria è eccezionale e ci ha portato a un livello che non dobbamo mai dimenticare. Il futuro però non puo essere legato solo all’oggetto ed è molto importante che le aziende produttrici si facciano promotori di altre forme di design, di visualizzazione. Mi piace l’attenzione al sociale ma c’è altro, ad esempio il biodesign e altre forme di design che ancora non sono contemplate. Molto possono fare le industrie ma anche la città, creando forme di accoglienza più aperte per i giovani ricercatori che non si possono permettere gli alti costi di tutto. Il nostro futuro potrebbe passare di lì. Bisogna stare attenti a questa ossessione per il mobile. 

Al design con la tecnologia e la scienza il compito di disegnare le nuove case, le nuove città, il nuovo mondo. Questo potrebbe spazzare bruttezza disordine e volgarità e rendere tutto più bello, la gente più buona rispettosa e consapevole?
Spero di no, la violenza si, ma il resto no. Penso che volgarità e bruttezza ci vogliano comunque. Quando andai a New York a 25 anni mio padre mi regalò un orripilante vaso di mosaico dorato dicendomi “portalo con te che hai bisogno di qualcosa di brutto nella tua vita se no perdi la trebisonda”. E, francamente, chi siamo noi per giudicare quello che è brutto e quello che è bello? Bisogna sviluppare la capacità critica: il contrario della bellezza è l’indifferenza.




Capsula Mundi - Broken Nature: Design Takes on Human Survival
Algorithmic Design di Lisa Marks, 1° premio Lexus Design Award 2019

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