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07/02/2022 | MODA

MAX BIZZI: CON WHITE LA FIERA DIVENTA UN “CONTENT SHOW”

Di: Gisella Borioli

2002/2022. Vent’anni di White Show da un piccolo corner in Fiera nel 2001 al Salone indipendente più influente e internazionale di contemporary fashion arrivato al traguardo dei più di 500 espositori di qualità. Ogni volta un evento da non perdere per l’alto tasso di creatività e che ha saputo espandersi in modo esponenziale tenendo d’occhio i “segni del tempo”. Ripercorriamo insieme a Massimiliano Bizzi, suo geniale inventore, questa avventura che ha preso il volo proprio dal Superstudio.

1. Come White è diventato White?
White nasce quasi per caso, ma non è un caso che sia diventata il più importante salone di riferimento per il womenswear a livello europeo. Dietro c’è stato tanto lavoro, studio e strategia per poter evolvere di anno in anno e adattarsi alle richieste del mercato e degli operatori.
È sicuramente la sua impronta fortemente innovativa, Sign of the Times per l’appunto, che ha reso White uno degli eventi di punta della settimana della moda, due volte all’anno.

2.  Come sei arrivato al Superstudio Più, primo esperimento di una fiera fuori dalla Fiera?
Grazie ad una grande donna che ha creduto in me e nel mio progetto, Gisella Borioli. Lei ha scommesso su White anche quando l’alternativa era una realtà decisamente più forte e strutturata.

3. Cosa è stato determinante per il successo di White?
Sicuramente la determinazione e la grinta, la voglia di creare un contenitore per i brand che non fosse svilente e mortificante come le fiere di 20 anni fa, ma al contrario accattivante e sorprendente. Un luogo perfetto per fare business, immerso in una cornice piacevole, capace di trattenere buyer e stampa anche oltre l’orario di lavoro.

4. Il successo anche  grazie a…?
Sicuramente devo molto anche al team di professionisti che si sono susseguiti in questi anni e che hanno supportato me e mia moglie Brenda, Amministratore Delegato di White, nello sviluppo del nostro progetto.

5. Il momento più critico?
Probabilmente quello appena trascorso.
La pandemia in Italia è scoppiata proprio sul finire dell’edizione di febbraio 2020 e da lì c’è stato un momento di incertezza non indifferente che ci ha fatto vacillare. Non era chiaro come la moda, non solo noi, sarebbe potuta sopravvivere a questa batosta. Per fortuna l’aiuto reciproco ed alcune iniziative come Milano Loves Italy, Insieme siamo più forti, hanno risollevato la situazione e dato uno slancio nuovo e positivo, hanno aperto un nuovo sguardo sul futuro. Si è andato a creare un nuovo sistema moda, che speriamo possa continuare a collaborare e coordinarsi per ottenere grandi risultati, anche quando questo periodo sarà solo un brutto ricordo.
Noi stessi stiamo mettendo nel prossimo White un’energia rinnovata che ci apre a nuovi progetti e nuovi panorami.

6. Una innovazione a un certo punto è stata anche quella di optare per una fiera diffusa in via Tortona anziché concentrata in una più grande istituzione fieristica. Nasce il Tortona Fashion District. Per libera scelta o per necessità?
Un po’ tutte e due forse. L’idea di una fiera diffusa mi è sempre piaciuta, non lo nego. Ma è stata anche una necessità. La richiesta da parte dei brand è aumentata esponenzialmente. Dalla prima edizione in cui avevamo 100 marchi, siamo arrivati ad averne 550. Di conseguenza, era necessario avere più spazio, anche per ospitare tutta una serie di attività collaterali che man mano negli anni abbiamo sviluppato.

7. Il brand che più ha dato a White, e quello a cui White ha dato di più?
Probabilmente i brand delle origini, che mi hanno seguito sin da quando ero solo un collaboratore per Fiera Milano, hanno creduto in me e mi hanno seguito in questa nuova avventura. Parlo di brand del calibro di Collection Privèe?, Grevi, Faliero Sarti, Sofie D’hoore, e Roberto Collina, per citarne alcuni.
I brand che White ha supportato nel loro percorso di crescita sono sicuramente, tra gli altri, Uma Wang e Golden Goose, per citare grandi brand internazionali che hanno spiccato il volo.

8. Il termine Fiera non coincide molto con la realtà di White. Tu come la definiresti?
E infatti non amo particolarmente utilizzare questo termine, “fiera”. Stiamo lavorando per far si che White diventi a tutti gli effetti un “content show”, una piattaforma di business ma ricca di attività ed eventi collaterali.

9. Sei un “dominus” multitasking di indiscussa capacità e prestigio, eppure hai voluto vicino altri creativi. Chi sono e in che ruoli le tue “spalle” più determinanti?
È vero, in azienda faccio un po’ di tutto. Mi piace coordinare e supervisionare i vari reparti perché voglio che tutto sia perfetto. Però sì, sono sicuramente circondato da professionisti che con il loro lavoro e la loro passione mi aiutano a mettere in scena tutto quello che vedete da ormai 20 anni.
Le spalle più determinanti? Sicuramente l’acquisto recente che abbiamo deciso di fare con Brenda: Stefania Vismara, nostro direttore generale.
Lei è stata una ventata di aria fresca, una grande professionista che ha dato e sta dando un notevole contributo allo sviluppo, l’internazionalizzazione e l’espansione del salone in termini di notorietà.

10. In tempi di digital, phygital, lockdown e altre limitazioni, come devono evolvere le fiere di moda?
Io credo che la moda sia per sua natura intrinseca un settore che richiede il “fisico”.
La moda nasce in risposta ad un bisogno sociale: quello di sentirsi belli e bene con sè stessi. Sono state le occasioni, la mondanità, ad aver reso la moda una parte importante ed integrante della nostra vita.
Ed è per questo motivo che credo fermamente che le fiere dovranno trovare il modo e fare di tutto per rimanere in presenza. Salvo cause di forza maggiore, chiaramente, come nel caso del lockdown, in cui necessariamente il fisico ha dovuto essere supportato dal digitale. Ma il digitale, secondo me, è per l’appunto un supporto, non potrà mai essere sostitutivo.

11. Oltre ai canonici “stand”, sia pure ogni volta diversi e fantasiosi”, White vive di eventi collaterali: quali i più riusciti?
Per citare un progetto recente, sicuramente “Milano Loves Italy” che ha reso White un salone ancora più diffuso grazie alla possibilità concessa ad alcuni brand di esporre la propria collezione nei migliori negozi di Milano.
Mi piace annoverare tra gli eventi più riusciti anche le sfilate di Uma Wang a Palazzo Reale, Ludovica Amati al Castello Sforzesco, l’installazione di Antonio Marras al Chiostro del Bramante e la sfilata per la città di Milano del designer coreano Yohanix in Piazza Duomo.
Ricordo infine, con grande entusiasmo, il bellissimo evento musicale organizzato a settembre per celebrare la ripartenza che abbiamo tenuto nel Garden di Superstudio. In quell’occasione abbiamo ospitato la popolare cantautrice italiana Madame che ci ha regalato una performance unica.

12. Il mondo di White attrae sempre più alleati e “sistemi”, intercettando anche politica e istituzioni: le alleanze e le occasioni più significative?
L’universo di White è costellato di moltissimi piccoli e grandi partner con i quali collaboriamo per poter crescere e dare un forte contributo al sistema moda italiano ed europeo.
Sono per lo più partner istituzionali come il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’Istituto del Commercio Estero, Confartigianato, Camera Nazionale della Moda Italiana, Camera Showroom Milano e Camera Buyer Italia.
Sicuramente è stato un onore per noi ricevere il patrocinio del Comune di Milano e della Regione Lombardia.
Ci ha riempito di orgoglio essere riconosciuti come uno degli eventi più importanti per la città e la regione durante la settimana della moda milanese.

13. White in prima linea nel difendere il sistema moda, l’attenzione all’ambiente, l’economia circolare. Come sta funzionando questa posizione “politica” e sociale?
Direi benissimo, siamo orgogliosi di poter dar voce e spazio a realtà, persone e progetti che portano avanti queste battaglie per rendere la moda più sostenibile. Ricordiamoci che l’industria della moda è la seconda più inquinante a livello globale e tutti coloro che ne fanno parte dovrebbero lavorare insieme per ridurre il suo impatto sull’ambiente.
In quanto evento di punta della settimana della moda, frequentato da migliaia di visitatori ad ogni edizione, abbiamo sentito la responsabilità di offrire il nostro come palcoscenico per trattare temi legati alla sostenibilità nel sistema moda, da tutti i punti di vista, perché anche i consumatori finali potessero prendere coscienza della situazione e comprendere come poter fare la loro parte.

14. Come White declina l’imprescindibile tema della sostenibilità?
A proposito di questo, WSM, il nostro progetto dedicato alla sostenibilità nella filiera della moda, è in assoluto una delle manifestazioni più significative a livello globale in tema di fashion sustainability. Colgo l’occasione per ricordare che da questa edizione WSM si terrà nelle stesse date di White, dal 24 al 27 febbraio presso il Padiglione Visconti, e sarà aperto alla città di Milano.

15. Made in Italy e apertura internazionale: come li intendi e li concili?
In realtà credo sia facile conciliarli. Penso sia importante ospitare un numero sempre maggiore di buyer interazionali proprio per dare grande visibilità alle nostre eccellenze del Made in Italy.
Non escludiamo inoltre di esportare il nostro format in mercati internazionali pronti ad accoglierci.

16. Giovani talenti e brand affermati, installazioni culturali e sfilate-evento, proposte sofisticate e street market: come convivono in un unico contenitore?
Anche qui credo sia normale la commistione di tutti questi elementi.
È sicuramente motivo di orgoglio poter ospitare grandi nomi della moda, così come è giusto dare spazio a designer e brand emergenti che portino una ventata di freschezza e innovazione ad ogni edizione.
Le installazioni e gli eventi collaterali, infine, rendono White una piattaforma a 360 gradi: ottime opportunità di business, marketing e comunicazione, eventi, arte e lifestyle.

17.Il Comune di Milano ha “sposato” presto questa manifestazione, molto più che molte altre simili con una particolare sinergia pubblico-privato. Come è potuta scattare questa alleanza?
È nata dal grande lavoro che abbiamo fatto negli anni con l’amministrazione comunale, trovandoci sempre allineati ai progetti dell’assessorato alla moda che ha riconosciuto White come un’eccellenza per l’indotto della città.

18. Cosa racconta il tuo ultimo progetto Sign of the Times?
Dal titolo di una celebre canzone di Prince, Sign of the Times significa accettare i tempi che cambiano e volerne far parte, attraverso nuove iniziative e idee rivoluzionarie che diano voce ai sogni e alle aspettative delle nuove generazioni.
Il mondo richiede una nuova visione, un nuovo punto di vista, per ripensare insieme una nuova era della moda, più dolce e meno frenetica, per l'individuo e per l'ambiente, attraverso un nuovo approccio di squadra che ci renda protagonisti del mercato.
Credo fortemente in questi valori ed è per questo che abbiamo deciso di rendere Sign of the Times pay-off di White.

19. Cherchez-la-femme. Quanto devi a tua moglie Brenda?
Sicuramente tanto. Brenda è stata la mia roccia per tutti questi anni. Io sono un creativo, una mente libera, un sognatore; lei è la mia parte razionale e pragmatica in azienda. Colei che rende possibili molte delle mie idee. Non a caso è l’amministratore delegato della nostra azienda con una visione concreta del nostro business.

20. Il 20° anniversario segna spesso l’anno di un traguardo e di una svolta. Anche per White?
Vent’anni sono un grande traguardo, è indubbio. Ma noi vogliamo fare ancora molto ed è per questo che non considereremo mai questo traguardo come un punto di arrivo.
Vogliamo continuare a crescere ed evolverci, internazionalizzarci e radicarci sempre di più.
Ogni edizione per noi è una svolta e sicuramente lo sarà anche febbraio 2022.
Vedrete!


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