IT | EN
11/06/2020 | DESIGN, PEOPLE
L'INTERVISTA DEL GIOVEDI'

LUCA NICHETTO: EMOZIONI MULTIDISCIPLINARI

Di: Gisella Borioli

Alla sua prima presentazione nel Basement di Superstudio nel 2009 Luca Nichetto, scelto tra molti giovani progettisti, ha vinto il premio Internazionale di Elle Décor. Alla seconda ha progettato una Prosciutteria di design in tutti i dettagli piazzata in una architettura temporanea sul tetto.  Dopo, tutto un crescendo l’ha portato da Venezia, dove ha aperto il primo studio, fino in Svezia, dove è approdato per amore e dove si è fermato. Oggi è un affermato designer multidisciplinare che ha collaborazioni in tutto il mondo, colleziona premi internazionali, è ospite di retrospettive in città come Venezia, Parigi, Londra, Stoccolma.

In vent’anni dal 2000 al 2020 che cosa è cambiato e che cosa cambierà?
L’inizio del 2000 è anche quando ho cominciato a fare il designer. Ricordo quando venivo a Milano, la fiera era ancora in centro e gli eventi del Fuorisalone li contavi su una mano. Il Fuorisalone era più romantico all’epoca, c’era Spazio Krizia con Ingo Maurer e Ron Arad piuttosto che Driade in via Manzoni e via dicendo. Non so se fosse internazionale perché c’era il mondo ma era una dimensione più umana dove riuscivi ad avere il tempo per parlare con le persone. Dal 2010 in poi è andato fuori controllo, è diventato un circo, dove puoi trovare degli eventi con un certo tipo di qualità o capitare in mezzo a situazioni che non riesci a capire, con una sorta di inquinamento visivo abbastanza stancante...

Alla sua prima presentazione nel Basement di Superstudio nel 2009 Luca Nichetto, scelto tra molti giovani progettisti, ha vinto il premio Internazionale di Elle Décor. Alla seconda ha progettato una Prosciutteria di design in tutti i dettagli piazzata in una architettura temporanea sul tetto.  Dopo, tutto un crescendo l’ha portato da Venezia, dove ha aperto il primo studio, fino in Svezia, dove è approdato per amore e dove si è fermato. Oggi è un affermato designer multidisciplinare che ha collaborazioni in tutto il mondo, colleziona premi internazionali, è ospite di retrospettive in città come Venezia, Parigi, Londra, Stoccolma.

In vent’anni dal 2000 al 2020 che cosa è cambiato e che cosa cambierà?
L’inizio del 2000 è anche quando ho cominciato a fare il designer. Ricordo quando venivo a Milano, la fiera era ancora in centro e gli eventi del Fuorisalone li contavi su una mano. Il Fuorisalone era più romantico all’epoca, c’era Spazio Krizia con Ingo Maurer e Ron Arad piuttosto che Driade in via Manzoni e via dicendo. Non so se fosse internazionale perché c’era il mondo ma era una dimensione più umana dove riuscivi ad avere il tempo per parlare con le persone. Dal 2010 in poi è andato fuori controllo, è diventato un circo, dove puoi trovare degli eventi con un certo tipo di qualità o capitare in mezzo a situazioni che non riesci a capire, con una sorta di inquinamento visivo abbastanza stancante.

Prevedi una presa di coscienza di questa necessità di cambiamento?
No, onestamente no. Io vivo in Svezia adesso, mi sento però legato a quello che succede nel mio paese, mi fa abbastanza ridere quando sento la frase “dobbiamo fare sistema”. Ma sarà almeno da trent’anni che dobbiamo fare sistema. Finché non ci sarà un momento di cambiamento e l’ego personale verrà messo un po’ da parte con la consapevolezza che se vogliamo migliorare dobbiamo farlo dal punto di vista qualitativo, finché non ci sarà una coesione su questo non vedo assolutamente  possibile un miglioramento. Perché la qualità è l’unica cosa che ti permette di sopravvivere e in questo momento ciò vale soprattutto per quello che facciamo noi in Italia.

Chi è Nichetto se dovessi definirti rapidamente?
È sempre difficile dare una lettura di quello che uno è o fa. A me piace la frase di Magistretti in cui descriveva l’azienda come la madre e il designer come il padre e il progetto è il risultato di questo incontro. Mi ci ritrovo molto. Io cerco di volta in volta di interpretare l’azienda con cui mi trovo a collaborare perché non penso - magari sono un po’ old school da questo punto di vista - che il vero designer industriale debba avere un segno riconoscibile da stilista.

Proviamo a ripensare alla tua esperienza a Superstudio…
La primissima volta è stato l’anno 2009 in cui ho vinto l’EDIDA (Elle Decor International Design Award) come young designer. Nel basement ognuno di noi aveva il proprio piccolo spazio dove esporre i nostri lavori. Superstudio era conosciuto per i mega-eventi con Cappellini che venivo da studente a vedere, essere all’interno di quel contesto è stato un motivo di orgoglio. L’anno successivo, 2010, ho fatto un progetto un po’ pazzo: per King’s, azienda produttrice di prosciutti, ho costruito un’architettura temporanea sul roof di Superstudio. Da incosciente ho accettato di fare un progetto a 360° in un luogo dove il design è importante ma legato a un brand che non apparteneva a questo mondo. Più che la parte estetica, ricordo che era bellissimo vedere espositori e visitatori salire a degustare il prosciutto, era diventata quasi un’oasi.

Quanto è importante la mise-en-scène nel presentare un prodotto?
Importantissimo. Dal 2000 al 2020 la mise-en-scène è diventata basilare perché negli ultimi anni tutto quello che facciamo diventa una foto, vedi anche lo sviluppo dei social media. Tante volte è proprio quello che ti fa avere un risultato oppure no, magari fai un’installazione bellissima però non è fotogenica e quindi non ti porta a nulla. Io cerco di lavorare sempre sull’atmosfera, perché l’ambiente alla fine è quello che tocca le emozioni delle persone. Se riesci a trasferire con le foto almeno in parte l’emozione che hai creato per i visitatori hai fatto gol.

Dimmi tre icone del design di questi ultimi vent’anni…
La Twiggy di Marc Sadler per Foscarini. Nemo, la seduta a forma di faccia di Fabio Novembre per Driade. Aggiungo il nome di un’azienda perché secondo me è più iconica l’azienda in sé, piuttosto che il prodotto che fa. Parlo di Hay, che ha creato un’icona legata all’idea di design che diventa lifestyle. Il loro marchio comanda rispetto al prodotto, lo considero un progetto di design a livello di branding.

Che cos’è per te il Fuorisalone di Milano?
È quello che fa vivere la passione per quello che facciamo. È dove trovi l’energia, e una gelosia buona quando vedi qualcosa di bello che ti spinge a provare a fare di più.

Milano capitale del Design. Lo è ancora o le manca qualcosa per esserlo compiutamente?
Milano è certamente la capitale del design, il problema è che lo è per una settimana invece lo dovrebbe essere per tutto l’anno. Dovrebbe però smussare un’arroganza di base legata al fatto che Milano sa di essere la capitale del Design, ma questo non vuol dire che fanno le altre città non funzioni. Anzi dovrebbe fare da collante a livello mondiale.

Un tuo progetto che anticipa il futuro?
Come studio, stiamo cercando di diventare ancora più multidisciplinari. Con collaborazioni che hanno più a che fare con stile di vita, artigianato e lusso lavorando con aziende che hanno un forte patrimonio sulle spalle. Mi piace molto l’art-direction di collezioni complete più che creare un pezzo singolo. Mentre i mobili rimarranno sempre il pane e il burro del nostro lavoro, sono interessato ad altre direzioni, come quelle legate al cibo. Sarebbe bello fare un'altra Design House per la prosciutteria King, per esempio! Oltre ad esplorare altre strade per benessere, packaging, moda, gioielli, scenografia e così via. Ogni sfida sarà benvenuta!

Cosa ti ha portato a vivere in Svezia?
Una donna che ho conosciuto a Venezia quindici anni fa. Per amore.

King's Design House, Superstudio 2010
King's Design House, Superstudio 2010
"Pure Leaf Space" for Pepsi, Superstudio 2017
EDIDA, Elle Decor International Design Award 2009

PROSSIMO ARTICOLO

MADE IN ITALY DIVENTA SCULTURA

ARCHITETTURA
ARTE
CHARITY
CINEMA
DESIGN
DISCOVERING
DUBAI
EDITORIA
EDITORIALE
EVENTI
FORMAZIONE
FOTOGRAFIA
GREEN
INNOVAZIONE
LIBRI
LOCATION
MILANO FASHION WEEK
MODA
MOSTRE
PEOPLE
POLITICA
PUNTO DI VI(S)TA
TALKS
TENDENZE
VIDEO
YOGA
ARCHIVIO COMPLETO
ARTICOLI IN EVIDENZA