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08/09/2022 | MODA

ISSEY MIYAKE ADDIO

Di: Flavio Lucchini

Ho conosciuto Issey Miyake nel 1973 a Parigi durante la sua prima sfilata per il prêt-à-porter. Mi aveva colpito la coerenza e la chiarezza della sua linea. Nuova e diversa da tutte le altre collezioni viste fino ad allora. Già erano presenti l’uso diverso del colore e la componente della cultura e della tradizione giapponese. Il suo modo di tagliare e assemblare il tessuto era completamente all’opposto dalla nostra tradizione occidentale. Sperimentava da tempo tecniche e materiali avanzatissimi. Aveva fatto alcuni anni di apprendistato dopo la laurea alla Tama Art University a Tokyo, a Parigi presso Guy Laroche e Hubert de Givenchy e in seguito a New York, dove si era trasferito, presso Geoffrey Beene. Era tornato nel 1970 a Tokyo con l’idea di fare una moda tutta sua.
All’università aveva studiato graphic design e questo lo portava verso uno stile innovativo, contemporaneo, non in balìa della sola fantasia. Pensava che l’abito dovesse essere concepito secondo gli stessi principi con cui il design rinnova oggetti, mobili e tutto quanto l’industria produce. Progetto molto arduo da realizzare nel mondo del fashion. Un universo anarchico dove comanda l’immaginazione del singolo, sganciata da ogni altro riferimento. Miyake riuscì a inserirsi nella moda con successo portando la componente design e coniugandola con la cultura essenziale e razionale giapponese. Puntò sulla ricerca e scoprì innovazioni tecnologiche per trattare i tessuti e trasformarli o aumentare le loro performance. Inventò modi nuovi per costruire il vestito valorizzando nello stesso tempo l’eleganza, la raffinatezza e la grazia che l’abito richiede. Insomma, un miracolo. Anzi un doppio miracolo se aggiungiamo che gli abiti di Miyake non solo sono sempre nuovi con soluzioni inedite ma anche perfetti per valorizzare la personalità di chi li porta al punto di essere attuali senza tempo di scadenza. Un abito di Issey non passa di moda anche dopo anni. Chi lo compra lo sa.
A Dubai abbiamo un’amica artista inglese che vi abita da trent’anni, fa mostre, progetti per la Famiglia Reale, insegna all’università. Orgogliosa veste sempre Miyake, non importa se di tanti anni fa. Si chiama Patricia Millns e tutti la conoscono per la sua arte intimista e le sue installazioni che mescolano le due culture, spesso anche con elementi tessili o veri e propri vestiti, ma anche perché è vegana stretta e per la sua eleganza così diversa. Ha una grande personalità. Con la sua figura sottile, il suo viso intelligente solcato di rughe, vestita Miyake è affascinante e diventa bellissima.
Miyake è nato a Hiroshima, proprio il paese dove scoppiò la bomba atomica, e ne subì le conseguenze. Issey ancora oggi cammina zoppicando leggermente. Morirono duecentomila persone. Lui si salvò. Aveva solo sette anni e sua madre se ne andò tre anni dopo per aver sviluppato l’osteomielite. Il destino lo portò non solo a Parigi, ma ai vertici della moda in tutto il mondo. Con il suo fatalismo è diventato molto più di uno stilista. Forse un filosofo. Un guru. E un artista. La visita nella sua boutique di Place des Vosges a Parigi era per noi una tappa obbligata delle sfilate francesi. Issey ci aspettava in negozio, semplice e disponibile, e passavamo del tempo memorabile a parlare di moda e di vita. Io e Gisella anni fa siamo stati a trovarlo a Tokyo dove dal 1970 aveva aperto il Miyake Design Studio. Un ambiente in cui si capiva come nascono le sue collezioni, definite monastiche e misteriose. Un grande spazio per la ricerca, con macchine all’avanguardia che utilizzavano innovative tecnologie per creare i suoi abiti realizzati con stoffe naturali, sintetiche e perfino con la carta. Molti anche in poliestere e altre fibre artificiali. Ne uscivano tessuti ondulati stropicciati o plissettati con finissime pieghe ravvicinate, superfici a rilievo, pizzi traforati al laser, e altre invenzioni sempre imprevedibili. Frutto di continue sperimentazioni finalizzate ad esprimere il suo gusto raffinato, semplice, grafico. Il suo capolavoro, utilizzato in mille forme, è “pleats please”, diventato un brand, sulla base di forme ricavate da un tessuto plissé ingualcibile e immutabile, capace di trasformarsi in abito-scultura da gran sera come in tubino minimalista e in ogni genere di accessorio.
Ho pensato a lui quando ho pubblicato Dress-Art il primo libretto sul mio lavoro di artista: mi ha regalato un prezioso commento che sottolinea la nostra amicizia e vicinanza, complice la moda.


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