Tecnologia è magia e immaginazione, dissesta i nostri usi più radicati e li trasforma in nuove possibilità. Così, il banalissimo sale “da cucina”, ad oggi associato per lo più ai fornelli o alla conservazione degli alimenti, vive un cambio di utilizzo ed entra tra gli strumenti che ingegneri e progettisti impiegano per ripensare le architetture del futuro...
Il sale ha una storia antica: sappiamo che già 10.000 anni fa veniva utilizzato per conservare gli alimenti mentre, presso i Romani, era impiegato come moneta con cui pagare i soldati, da qui il termine salario. Oggi è prodotto massicciamente, viste la sua duttilità e convenienza in termini economici. Ciononostante, il quantitativo che viene gettato via è in aumento, fatto che ha comportato la ricerca di soluzioni di reimpiego del sale in eccesso...
Tecnologia è magia e immaginazione, dissesta i nostri usi più radicati e li trasforma in nuove possibilità. Così, il banalissimo sale “da cucina”, ad oggi associato per lo più ai fornelli o alla conservazione degli alimenti, vive un cambio di utilizzo ed entra tra gli strumenti che ingegneri e progettisti impiegano per ripensare le architetture del futuro.
Il sale ha una storia antica: sappiamo che già 10.000 anni fa veniva utilizzato per conservare gli alimenti mentre, presso i Romani, era impiegato come moneta con cui pagare i soldati, da qui il termine salario. Oggi è prodotto massicciamente, viste la sua duttilità e convenienza in termini economici. Ciononostante, il quantitativo che viene gettato via è in aumento, fatto che ha comportato la ricerca di soluzioni di reimpiego del sale in eccesso. Dallo scarto sono nate nuove possibilità di utilizzo, che interessano soprattutto architettura e ingegneria. Ad oggi, ad esempio, si conta già il suo impiego nella produzione di cemento, che così sfiora la carbon neutrality, e nell’interior design per la fabbricazione di piastrelle per le saune. Per l’architettura, possiamo citare a titolo d’esempio il ristorante iraniano Salt Restaurant Shiraz, fatto interamente di sale, la cui forma richiama le grotte tipiche del paese.
È invece del 2015 the Salt Project di Eric Geboers, fin da subito percepito come molto innovativo ed in linea con un futuro che va verso una sempre maggiore desertificazione. Quello di Geboers è un tentativo di creare delle architetture a partire dall’idea di portare l’acqua salata nel deserto, sfruttando soprattutto il fatto che molte aree desertiche sono collocate in prossimità delle zone costiere. Un sistema ingegneristico pompa l’acqua salata ed è in grado in un secondo momento di separare il sale dall’acqua, senza generare scarto ma creando acqua potabile per la popolazione locale e d’irrigazione per i raccolti. Il sale ottenuto dal processo di separazione è, invece, impiegato per costruire una comunità totalmente integrata nell’infrastruttura idrica, una vera e propria città del sale entro il 2035: bianca, colore tipico delle costruzioni desertiche, e con ottime qualità di rifrazione della luce.
Nel 2017 Eric Geboers ha anche curato il progetto Muro di Sale, in collaborazione con Atelier Luma: 4.000 pannelli salini rivestono le pareti ascensoree della Tower del campus LUMA di Frank Gehry ad Arles. Nelle vicine Saline del Mezzogiorno (Salins du Midi) in Camargue, Atelier Luma porta avanti da anni una ricerca approfondita sulle potenzialità del sale nella fase di cristallizzazione. Il suo eccesso, comunissimo in questa zona, è stato qui letto come una risorsa, da cui sono stati tratti i primi prototipi di pannelli salini da costruzione. A partire da un nuovo atteggiamento che guarda, più che alla trasformazione o lavorazione, alla coltivazione del sale secondo i tempi e i ritmi che gli sono propri: tre i mesi per la lavorazione completa dei pannelli immersi nelle acque dell’acquitrino, fino a quindici i giorni di posa.