Fabio e Lorenza Castelli, formidabile coppia padre-e-figlia, mettendo insieme passioni e competenze hanno dato vita dieci anni fa a MIA (Milan Image Art Fair) la più importante fiera di fotografia e visual d'autore proprio al Superstudio di via Tortona. Imprenditore siderurgico e appassionato collezionista lui, laureata in Economia alla Bocconi ma cresciuta con l'arte in ogni sua forma attorno lei, dopo dieci anni e un incontestabile successo, nell'attimo della ripartenza si ritrovano a casa nel nuovo Superstudio Maxi, dove il 14 luglio ha luogo la conferenza stampa del prossimo MIA e dove ci sarà la prossima edizione della Fiera...
Fabio e Lorenza Castelli, formidabile coppia padre-e-figlia, mettendo insieme passioni e competenze hanno dato vita dieci anni fa a MIA (Milan Image Art Fair) la più importante fiera di fotografia e visual d'autore proprio al Superstudio di via Tortona. Imprenditore siderurgico e appassionato collezionista lui, laureata in Economia alla Bocconi ma cresciuta con l'arte in ogni sua forma attorno lei, dopo dieci anni e un incontestabile successo, nell'attimo della ripartenza si ritrovano a casa nel nuovo Superstudio Maxi, dove il 14 luglio ha luogo la conferenza stampa del prossimo MIA e dove ci sarà la prossima edizione della Fiera. Gisella Borioli ha assistito alla nascita e alla crescita di questa idea anni fa. Oggi intervista Fabio per ripercorrere insieme una storia bellissima e unica.
Sono passati 10 anni dal primo MIA, la prima grande Fiera della foto d’autore a Milano. Da industriale siderurgico e collezionista d’arte appassionato, come hai pensato di diventare il creatore di una Fiera dell’immagine fotografica così particolare?
L’idea è nata una volta conclusa la mia attività imprenditoriale come Presidente di CASTEK, nome della holding che condividevo con i miei fratelli. Da quel momento ho deciso di iniziare la mia seconda vita all’insegna dell’arte, che così tanta energia e piacere mi aveva offerto quando, nel ruolo di collezionista, raccoglievo opere di autori che utilizzavano diversi linguaggi espressivi. Dopo un lungo percorso che mi ha permesso di avvicinarmi a molteplici forme artistiche, ognuna collegata all’altra per attinenze che la mia vita e la mia sensibilità mi indicavano, mi sono soffermato sulla fotografia che ho ritenuto non solo il mezzo espressivo più contemporaneo, ma anche quello più interessante in quanto abbraccia molte aree, dal reportage a quelle dove viene utilizzata come linguaggio di arte contemporanea. Dopo diverse esperienze, ho deciso di dare vita a una fiera che effettivamente nel nostro Paese mancava. Secondo me era il momento giusto perché la fotografia smettesse di avere una posizione ancillare nei confronti degli altri linguaggi artistici. La finalità della fiera è stata quella di offrire al pubblico ulteriori elementi affinchè diventasse consapevole di tale evoluzione. Per tale fine sono nati gli eventi culturali organizzati ad hoc, e la scelta di espositori che fossero in grado di contribuire alla crescita della cultura della fotografia in senso lato.
C’era già l’ambizione, forse, di raggiungere un giorno il successo internazionale di Paris Photo?
No, non mi sono mai posto come obiettivo quello di creare una fiera a immagine e somiglianza di Paris Photo. Di raggiungere un successo internazionale invece sì. Parzialmente lo abbiamo già raggiunto come dimostrano le tante presenze di espositori da tutto il mondo, ma vorrei consolidare tale posizione portando MIA all’estero come abbiamo già fatto quando abbiamo realizzato una edizione a Singapore.
La fotografia sembra una forma d’arte “facile”, comprensibile, alla portata di tutti, a confronto con gli ermetismi di certa arte contemporanea. Cosa fa la differenza tra una foto d’arte e un tentativo di esserlo?
Questo della facilità della fotografia è effettivamente il grande equivoco che accompagna la fotografia fin dalla sua nascita: il fatto che la fotografia – almeno l’ambito della fotografia di documentazione – riproduca in una forma visiva realistica una porzione di mondo farebbe pensare che il fruitore ne colga immediatamente, oltre al senso, il valore espressivo. Le cose in realtà stanno in modo diverso perché comunque la rappresentazione fotografica rispecchia i parametri dei canoni visivi che fanno parte della nostra cultura. Ciò che appare facilmente leggibile per la sua immediatezza di rispondenza alla realtà risulta invece molto complesso a una lettura più consapevole e profonda proprio perché questa presuppone una cultura critica che nella fotografia di massa purtroppo, soprattutto in Italia, è mancata e che stiamo lentamente e faticosamente cercando di recuperare. Se l’arte contemporanea nelle sue attuali manifestazioni può avvalersi di infiniti canali espressivi – alcuni, come dici, di difficile decifrazione – la fotografia può avvalersi soltanto delle infinite variazioni della rappresentazione bidimensionale. Risulta altrettanto chiaro, a questo punto, che la differenza tra una cosiddetta fotografia d’arte e una ordinaria è definita dalla capacità dell’autore di utilizzare un linguaggio consapevole e non occasionale. Compito della critica è saper individuare questi autori e i loro linguaggi.
Fotografia analogica, digitale, post-produzione e tecnologie varie: quanto influiscono le tecniche usate sul valore di un’opera fotografica? E come difendersi da riproduzioni non autorizzate?
Francamente ritengo oziose le discussioni su fotografia analogica, digitale e ogni altro distinguo di tipo operativo-tecnologico: quello che importa è il risultato finale e la fotografia, nel corso della ormai lunga e consolidata storia, si è servita di ogni innovazione tecnologica non per dare maggiore valore all’opera fotografica, ma come strumento operativo diverso, perché le innovazioni fanno parte di qualsiasi mezzo di espressione. Le stesse manipolazioni che oggi si realizzano con procedimenti digitali di post-produzione si sono sempre eseguite, solo con altri sistemi, quasi sempre manuali. Diverso invece è il discorso su come difendersi dalle riproduzioni non autorizzate: qui subentrano delicati e complessi discorsi sul diritto d’autore ma credo che questo problema sia inerente a tutte le forme di espressione artistica, basti pensare alla cronaca che riporta continuamente casi diffusi di falsi e contraffazioni.
MIA non è una semplice Fiera: è un appuntamento culturale farcito di occasioni per trovare e valorizzare nuovi talenti con mostre dedicate, premi e altre iniziative. Di quali “scoperte” negli anni sei più fiero?
Tra le cose per cui vado più fiero c’è l’aver contribuito alla crescita della capacità del pubblico nel riconoscere la qualità dell’immagine fotografica indirizzando la sua attenzione più sui contenuti che sulle tecniche. Nei primi anni veniva chiesto con quali macchine e quali pellicole venivano realizzate le foto esposte, oggi chiedono il “perché” di quelle immagini. Senza assolutamente togliere nulla all’importanza del “come” vengono realizzate e stampate le opere. Per avvalorare questa affermazione ricordo l’iniziativa a cui ho dato vita qualche anno fa per far emergere la professionalità di tutti coloro che collaborano con gli artisti per realizzare le stampe interpretando al meglio i desideri dell’autore. Si chiamava “progetto a quattro mani” che voleva ricordare quel sodalizio tra l’autore e lo stampatore, legame stabilito già alcuni secoli fa quando spesso, nella lastra incisa, si apponevano le due firme: quella di chi aveva ideato il soggetto, con il verbo latino “invenit” e quello dello stampatore della lastra con il verbo “excudit”.
Il MIA del 2011 ha aperto una strada e accolto autori gallerie collezionisti e vario pubblico, tutti entusiasti di questa iniziativa che colmava un vuoto. Nel 2021, alla boa dei prossimi dieci anni, cosa dobbiamo aspettarci?
Su cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi 10 anni, giro volentieri questo quesito a mia figlia Lorenza che dirige con me MIA. Per il prossimo futuro continueremo ad occuparci di cultura fotografica con l’obiettivo di far crescere l’educazione su questo mezzo d’arte contemporanea. Già da quest’anno abbiamo allargato lo spettro d’indagine di MIA Fair, con l’obiettivo di offrire a chi ci segue nuove prospettive sulla fotografia come linguaggio d’arte contemporanea. Le nuove sezioni MIDA – Milan Image Design Art e Beyond Photography – Dialogue, curata da Domenico de Chirico, vanno in questa direzione e si muovono su linee di confine di differenti codici artistici che coinvolgono diversi media, ma che si intersecano e rispondono all’interesse dei nostri collezionisti e in questo senso intendiamo continuare a spingerci verso nuove frontiere tra i media dell’arte contemporanea. Un ulteriore fronte di sviluppo sarà quello internazionale, ci interesserebbe poter creare collaborazioni con partner esteri per poter creare altri eventi dedicati alla fotografia in paesi stranieri, offrendo piattaforme di visibilità per gallerie italiane ed internazionali. Abbiamo inoltre investito su una nuova piattaforma sul sito della manifestazione perseguendo una strategia di sviluppo phygital, ovvero accompagnando la presenza fisica dell’espositore con una nuova presenza digitale che permetterà di visualizzare online le opere allestite in diversi ambienti architettonici con l’obiettivo ampliare la portata commerciale di MIA Fair. Il nuovo applicativo darà anche la possibilità di interagire digitalmente tramite il nostro sito con i potenziali acquirenti con la chat resa disponibile dalla piattaforma. Questa nuova sezione del sito sarà visibile in preview circa una mese prima dell’apertura della manifestazione. L’intenzione del prossimo futuro e di continuare a investire sulle nuove tecnologie con l’obiettivo di fare di MIA Fair un evento sempre al passo con i tempi.
Quanto ha influito il messaggio e l’approfondimento portato da MIA sulla conoscenza della fotografia come forma d’arte non più minore ma certamente più accessibile?
Credo che lo sforzo che abbiamo fatto per acclarare la fotografia, anche come forma d’arte, sia indubitabile nonostante ci siano autori, anche di chiara fama, che ancora oggi si offendono (o fanno finta di esserlo), se vengono chiamati artisti. Intendiamoci la querelle è più che giustificata visto la difficoltà di capire cosa sia, al giorno d’oggi, la fotografia da quando non è più soltanto l’originario “disegno con la luce” ma è diventata un’immagine molto complessa e carica di significati e linguaggi. Basta saper meglio distinguere e sforzarsi di comprendere il processo evolutivo accentandone i cambiamenti e volendolo fare senza imbarcarsi in sterili polemiche. Certamente la maggiore accessibilità economica della pratica fotografica di ricerca la rende più democratica anche se ci sono moltissimi esempi, sia per la fotografia storica che per quella contemporanea, di quotazioni che possono arrivare anche a qualche milione di euro.
Quali i momenti più salienti della prossima edizione che proprio non possiamo perdere?
Nella prossima edizione amplieremo ulteriormente i campi disciplinari di Mia Fair concentrandoci sulla ricerca e sulla trasversalità dei linguaggi artistici contemporanei. In questo quadro devo segnalare le due nuove sezioni. La prima è denominata MIDA – Milan Image Design Art, dedicata a progetti che creano un dialogo tra la fotografia e il design, la seconda denominata DIALOGUE, curata da Domenico de Chirico, il cui progetto espositivo si pone come un dialogo tra fotografia e una sola opera realizzata con altri media come scultura, installazione, pittura e video. Un altro tema a cui dedicare tempo e attenzione è quello relativo agli eventi culturali per i quali vi invito a scorrere il programma.
ll debutto di MIA è stato nel 2011 al Superstudio Più, dieci anni dopo – e l’intervallo espositivo a The Mall – è il primo evento che inaugura il nuovissimo Superstudio Maxi. Cosa ti lega al gruppo Superstudio?
Veramente felice di tornare alle origini! Ed entusiasta oltretutto di trovare Superstudio Maxi, e di avere l’onore di inaugurarlo. Magnifica ristrutturazione dove spicca quella geniale intuizione di creare all’ingresso una enorme quinta in marmo bianco. Complimenti all’ideatore! Sono legato a Superstudio perché fin da subito si è creato un rapporto di concreta collaborazione dove le modalità operative seguivano regole e approcci condivisi e dove la passione coesisteva con la professionalità e la correttezza.
Una curiosità: sei un bravo fotografo? Macchina fotografica o smartphone?
Non sono affatto fotografo. Conosco troppo bene la fotografia per essere consapevole di non avere quel talento necessario per crearla come io vorrei.