Cosa succede quando un sistema fallisce? O quando un organismo semplice si attacca ad una cornice e l’arte si mescola alla vita? Come l’uomo inventa l’infinito e supera se stesso? Che tipo di paesaggio è quello che accoglie tutte le possibilità? Queste le domande che percorrono alcune delle opere in mostra nella collettiva Osservatorio X, per la prima collaborazione tra Superstudio e l’Accademia delle Belle Arti di Brera. Attraverso una selezione di artisti cresciuti nelle aule di pittura dell’Accademia raccontiamo l’arte che si è intrufolata nei nostri sotterranei. Sarebbe un peccato non portarla alla luce.
ANDREA BARBAGALLO, OSEDEX E LA CIRCOLARITÀ DELL'ARTE
Partiamo dall’inizio. Dalla vita dei batteri e degli organismi monocellulari. Siamo con Andrea Barbagallo, la sua produzione vuole innestare nella materia artistica quella della vita. In mostra troviamo Osedex series: «Osedax che in latino significa “mangiatore di ossa” indica un particolare tipo di batteri che si nutre delle ossa delle balene: subendo lo smembramento la balena non muore, ma si trasforma. Le mie opere imitano questa circolarità, propria della natura: utilizzo materiali biodegradabili come il pla, l’acido polilattico – di cui sono fatti i sacchi dell’umido – che vive come un ospite silenzioso su cornici di cinquant’anni o più. Sottopongo poi le mie opere a trattamenti poco gentili: le sotterro, le imbevo di liquido, le manipolo spingendole al degrado estremo. Così i tempi della vita e quelli dell’arte si stratificano, in un dialogo nel quale entra anche lo spazio. Quello del sotterraneo di via Tortona è perfetto. Qui vedo la mia opera che cambia a contatto con il calore e l’umidità delle pareti, sottoposta al giudizio del tempo.»
I PAESAGGI POSSIBILI DI SILVIA GRECO
Del tempo tratta anche la serie Paesaggi possibili e stratificazioni del gesto di Silvia Greco. Nata nel post-lockdown, l’opera emerge dalle parole di Gill Clement in Giardini, paesaggio e genio naturale: «alla domanda: che cos’è il paesaggio? possiamo rispondere così: ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di guardare e di esercitare i sensi all’interno di uno spazio investito dal corpo». Così la Greco tenta di ricostruire – piuttosto di costruire – uno spazio non naturale, ma visibilissimo, segnato dalle tracce che il gesto lascia sulla materia. «Partendo dalla grafite accumulo i segni sulla superficie, cancellature e aggiunte a formare un’archeologia del gesto. Tutto è processo. Lo spazio della materia artistica è lo spazio della possibilità, delle sue molteplici forme, tra cui quella dell’evento, che fa il suo ingresso con un segno nero casuale, uno schizzo inaspettato, che rompe e colora irrimediabilmente la banda bianca inferiore della tela.»
ESPORRE UN PERCORSO DI FUGA: CECILIA MENTASTI, OVUNQUE MA NON QUI
Talvolta, un prosaico oggetto del quotidiano assume un valore artistico. Cecilia Mentasti trasforma i percorsi di fuga dei più grandi musei istituzionali del mondo in opere d’arte: attraverso l’atto dell’incorniciatura definisce uno spazio di autonomia sulla parete, che rende l’oggetto un oggetto d’arte, nel quale l’osservatore è invitato a seguire le frecce in mille percorsi che, come i rivoli di un fiume, si snodano in differenti direzioni. Percorsi problematici, percorsi ambigui formano una trama di passaggi, sempre in divenire, aperta all’errore, allo scarto. Chi guarda «deve rompere le regole», è coinvolto in un divertente gioco di attivazioni che lo può perfino portare a ripercorrere la strada del furto del 18 marzo 1990 all’Isabella Stewart Gardner Museum.
1M + 40 CM DI PITTURA MERAVIGLIOSA, IGNAZIO GIORDANO
«Gli uomini vivono come se non dovessero morire mai». Questa l’idea fondamentale della serie senza fine di Ignazio Giordano. Un polittico che va all’infinito, all’insegna del gioco, supera la fantasia dell’artista creando e ricreando composizioni sempre nuove. «La serie mi trascende, parla di me oltre me stesso. Che poi è ciò che l’arte deve fare e fa, sopravvivere al suo creatore. Nel formato di due metri e centoquaranta cm ho trovato la formula ideale per il mio modello. Come forma ho scelto la struttura architettonica per eccellenza, l’architrave: come una quinta teatrale incornicia la scena, dentro di lei si staglia il triangolo, forma impossibile eppure saldissima. Il senso prospettico che dà il triangolo permette a chi guarda un duplice ingresso nel quadro, dapprima nel regno dei possibili – le figure fantastiche che popolano il primo piano – poi nella forma geometrica. Due i modi di osservarlo: seguendone l’andamento figurativo; guardando alla sua matericità, da vicino l’avvicendarsi disordinato di corpi di colore induriti, di linee cromatiche piatte, di segni lucidi e opachi.»
OLTRE L'IMMAGINE: IMMERSIONE, 2016
Concludiamo questa rassegna con l’opera di Maria Cristina Cavagnoli che supera la fotografia, intesa come rappresentazione del vero, attraverso il segno grafico. Immersione – questo il titolo dell’opera del 2016 – è un autoritratto osservato dall’alto, a volo d’uccello: nella vasca, semi dormiente sta un individuo nudo il cui viso emerge appena dalle increspature dell’acqua che più assomigliano alle pieghe di un tessuto. La vasca è la porta di accesso verso la dimensione intimista dell’artista e al contempo del quadro. Nel fare artistico l’immagine fotografica è solo il punto di inizio: strati di materiale, di carta e cartone, si sedimentano insieme ai segni della matita, e si staccano dall’immagine di partenza. La sottrazione coinvolge anche l’esterno, l’opera nega il confronto con le altre opere. Sulla soglia della stanza, a destra, si intravede l’immagine, sola, alla fine di una parete.