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05/05/2020 | INNOVAZIONE

GLI EVENTI CHE VERRANNO

Di: Ilaria Marelli, per design@large

Difficile immaginare oggi le manifestazioni che fino ieri riunivano un grande numero di persone in una atmosfera animata e effervescente fatta anche di scambi, di saluti, di abbracci, di condivisione, di esperienze comuni, fosse per business per informazione o per piacere. Gli eventi e le fiere dovranno per forza cambiare. Diventerà obbligatoria l’integrazione tra reale e virtuale. E la fiducia.

La nuova parola d’ordine è “distanziamento sociale”. Ma quello a cui dovremmo puntare è un distanziamento fisico unito a una prossimità sociale. È, questo, un nodo fondamentale soprattutto per le attività di non prima necessità. Quelle, cioè, a cui la gente decide di prendere parte inseguendo un piacere personale, un desiderio di appartenenza e partecipazione. Ovviamente il digitale ci supporta in parte. Ma dobbiamo elaborare proposte ibride “reali-virtuali” che ci consentano di tornare anche fisicamente negli spazi non funzionali ma utili e necessari per stare bene. Quelli della cultura, del commercio e anche gli ambienti fieristici, che sono fatti di desiderio di vedere, toccare, capire, condividere...

Difficile immaginare oggi le manifestazioni che fino ieri riunivano un grande numero di persone in una atmosfera animata e effervescente fatta anche di scambi, di saluti, di abbracci, di condivisione, di esperienze comuni, fosse per business per informazione o per piacere. Gli eventi e le fiere dovranno per forza cambiare. Diventerà obbligatoria l’integrazione tra reale e virtuale. E la fiducia.

La nuova parola d’ordine è “distanziamento sociale”. Ma quello a cui dovremmo puntare è un distanziamento fisico unito a una prossimità sociale. È, questo, un nodo fondamentale soprattutto per le attività di non prima necessità. Quelle, cioè, a cui la gente decide di prendere parte inseguendo un piacere personale, un desiderio di appartenenza e partecipazione. Ovviamente il digitale ci supporta in parte. Ma dobbiamo elaborare proposte ibride “reali-virtuali” che ci consentano di tornare anche fisicamente negli spazi non funzionali ma utili e necessari per stare bene. Quelli della cultura, del commercio e anche gli ambienti fieristici, che sono fatti di desiderio di vedere, toccare, capire, condividere.
Una fiera post-Covid. Come progettista, mi interrogo ovviamente sul come tutto questo possa essere realizzato, in che modi e anche con quale appeal emozionale. Perché la transizione sicuramente avverrà in due step. In una prima fase – breve e transitoria – ci possiamo accontentare di un simulacro “medicalizzato” di vita sociale che ci consenta di uscire di casa. In quest’ottica gli sticker a terra per segnalare le distanze  minime, le mascherine e i separé saranno accettati come scotto per tornare a una simil normalità in tempi rapidi e in maniera economica. Ma pensando a una prospettiva di medio termine – ipotesi che ad oggi purtroppo sembra verosimile – non ci metteremo molto a desiderare qualcosa che conservi almeno in parte le emozioni e la bellezza delle esperienze passate. Ecco perché vale la pena fare delle riflessioni in questo senso.
Il primo passo: progettare la fiducia. Il primo elemento da progettare ora è la fiducia in un momento in cui regna paura, diffidenza, necessità, e molta confusione. C’è bisogno di creare processi trasparenti e comunicarli al meglio. Raccontare chi siamo, cosa proponiamo, qual è la nostra filiera e anche quando e quante volte sanifichiamo ambienti e prodotti. Per un ente fieristico internazionale questo processo di “dare fiducia” è molto complesso. Dal punto di vista operativo implica infatti una gestione degli spazi, della logistica e non da ultimo della contrattualizzazione, molto diversa da come è stata concepita in passato. Ma il nodo cruciale è che ad oggi ci sono due variabili in gioco che sono al di fuori del controllo del sistema fieristico stesso. La più importante ovviamente riguarda l’evoluzione di questa pandemia. In mancanza di dati chiari, di un vaccino o di una cura, sarà molto difficile riuscire a organizzare grandi eventi di massa. La seconda variabile in un contesto un po’ più sereno di quello attuale ma comunque con coefficienti di rischio, sarà anche la fiducia che riusciremo a riporre nei mezzi di trasporto. Non si può pensare di organizzare un grande evento internazionale se ancora avremo paura a prendere un aereo, un taxi, un treno.
Uno scenario di transizione. E quindi? Anche se in fondo speriamo tutti di scoprire domani che un cucchiaio di Nutella ci renda immuni, alcune considerazioni possono essere fatte anche in questo scenario di transizione. Partiamo dall’integrazione dell’esperienza digitale/fisica. Da anni nel settore fieristico si parla di come il digitale si vada affiancando e integrando ai format fisici. Ma se in questi anni è stato spesso difficile elaborare soluzioni ibride davvero integrate tra loro per una resistenza al cambiamento sia da parte degli enti organizzatori che dei consumatori stessi, questa può diventare davvero l’occasione per sperimentare dei format innovativi. L’esperienza della quarantena ha insegnato a tutti a gestire on line lavori, call, incontri, acquisti, learning molto più di quanto facevamo prima. E molto più di quanto immaginassimo di sapere e poter fare, anche se questi strumenti erano fortunatamente già tutti a disposizione. E sicuramente questo forzato grande esperimento sociale ci farà uscire come consumatori con una diversa percezione di cosa vogliamo e possiamo fare digitalmente, con risparmio di tempo e spostamenti, e cosa vogliamo fare fisicamente, perché in grado di portarci un reale arricchimento.
Nuovi format. Dal punto di vista dell’offerta si vedono in questi giorni le aziende sperimentare nuove soluzioni, magari in maniera naif data l’urgenza del momento. Ma queste “prove” hanno in sé i semi del costruire un rapporto diverso tra azienda, forza vendita e utenti. Pensiamo alle dirette instagram, ai servizi di consulenza online per la progettazione, ai webinar di learning ma anche di intrattenimento. E, più in generale, al successo di storytelling meno “patinati” ma più vicini alle esigenze concrete, e tra queste anche le paure concrete di retailer, architetti, utenti.
Un evento come deadline. Un evento fieristico in fondo è una deadline di presentazione di nuovi prodotti. È facile capire come in quest’ottica si possa immaginare un evento che si articola in una parte “fisica” dedicata a un pubblico qualificato con una programmazione di appuntamenti in funzione business, affiancata a una serie di esperienze allargate sia a livello temporale. Sia a livello di contenuti, che siano gestiti digitalmente e che ci consentano di vivere le novità, e anche di preselezionare quanto ci interessa davvero vivere come esperienza fisica.
La fiera viene da te. A livello di format invece possono essere interessanti invece delle soluzioni “road show” itineranti. Se penso ad esempio a un format come Architect@Work, che è una fiera internazionale a tappe – appare evidente come sia più gestibile in una fase 2 avanzata. Nelle varie tappe infatti la fiera raccoglie un bacino di pubblico sostanzialmente locale che nel medio periodo si sarà comunque rassicurato nel muoversi nel proprio territorio. È la situazione opposta a quella creatasi dopo la crisi del 2008 quando le fiere locali sono state cancellate a favore di investimenti sui grandi eventi. Ora potrebbe iniziare un’era opposta: soluzioni più contenute come show, più pragmatiche ma più vicine al cliente.

www.designatlarge.it/distanziamento-sociale

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